L'altalena del giudizio

La superficialità delle scelte politiche senza memoria

Dall’insofferenza della privazione da terzo lockdown, pigmentato di rosso, si muove un’analisi sulla libertà. Un concetto sviscerato a pieno nei mesi passati, riflesso delle norme anti-contagio, che ora si palesa in una variante singolare: un dibattito su come l’espressione della nostra voce, realmente concessa e non soffocata, abbia favorito la nostra società.

Con che coscienza si rende merito alla libertà personale, sancita poi in diritto, di voto? 

Il motore della mia riflessione è il documentario “Democrazia al limite”, distribuito da Netflix. 

Personalmente legata alle dinamiche sociali, la regista dà un quadro accurato, senza mancare di coinvolgimento, della politica brasiliana dal ventennio di dittatura (1964-84) alla salita di Bolsonaro. Solo 25 anni perché Luiz Inácio Lula, da presidente acclamato e fautore della sinistra progressista, diventasse rappresentante della corruzione e condannato alla galera. A questi eventi segue poi l’impetuoso rovescio della medaglia con l’elezione di Bolsonaro portavoce dell’estrema destra e di quelle idee così lontane da Lula e dal Brasile del primo duemila. La descrizione è repentina, come rapidi i rovesciamenti politici, i quali, ad ogni modo, sono solo il riflesso del pensiero popolare. È qui che nasce la questione. Come e con quale frenesia si ribalta l’opinione pubblica? Il cambio di regia al palazzo del governo di Brasilia porta alla luce come il pensiero sia suscettibile, precario. È proprio la fragilità delle convinzioni personali a riversarsi nello sgretolio di una maggioranza fino a poco prima solidamente conclamata. 

L’individuo è alla mercé di giornali, radio, tv, social network. Questi ultimi hanno drasticamente contribuito a creare disinformazione pericolosa. 

C’è chi dei suoi 15 minuti di notorietà, per citare Warhol, fa un uso improprio e alimenta la propaganda di messaggi ambigui per le menti più confuse. Come “Social dilemma” 

insegna – Netflix crea domande e dà, in parte, risposte – l’algoritmo che propone i contenuti di scrolling del profilo degli utenti, non evita, bensì fomenta la cospirazione. E così un utente, che per preferenze è riconosciuto potenzialmente condizionabile, avrà a che fare solo con materiale di fonti vicine. È un cavallo al galoppo con i paraocchi e non sia che si distragga con voci di un mondo diverso da quello proposto nella home page. La polarizzazione, la prima risposta al rovesciamento politico brasiliano, parla agli estremi: destra o sinistra, Bolsonaro o Lula. La bandiera è l’opinione pubblica: sventola, non indugia, non analizza e soprattutto non ha memoria. Se così fosse, neanche una bufera darebbe, nei tempi in analisi, questi effetti radicali di cambiamento.

La seconda spiegazione è riconducibile, allora, alla stessa natura umana. Gli studi dimostrano che i fatti permangono nella mente nel momento in cui si ha un forte coinvolgimento emotivo. L’osservazione, l’aspettativa, la speranza, ma anche la delusione, il dissenso, sono tutti subordinati ad un unico sentimento: credere. Ad osservare invece la politica oggi, è facile vedere una rivalità da stadio, tuttavia non è il tifo a cui mi riferisco. Non si tratta della parvenza di legame che unisce le masse, ma di un coinvolgimento maggiore. Tu – con tutta l’empatia che la comunicazione diretta fornisce – credi quando metti in gioco te stesso, perdi inibizione, ti dai alla causa. La sconfitta non è sul campo di gioco, diventa personale. In questi termini, se ti bruci, o se, caso vuole, trionfi, non lo dimentichi. 

“Un paese che dopo 21 anni di dittatura stabilì la propria democrazia e divenne fonte di ispirazione per il resto del mondo. Sembrava che il Brasile avesse spezzato la maledizione e invece ci risiamo. Un presidente incriminato e un altro in carcere e la nazione diretta verso il suo passato autoritario. Oggi sento la terra aprirsi sotto i miei piedi temo che la nostra democrazia non fosse che un sogno effimero.” 

Queste sono le parole con cui si apre “Democrazia al limite”. Petra Costa dice “Oggi sento la terra aprirsi sotto i miei piedi”. La forza della citazione della regista è la dimostrazione dell’intensità del sentimento di cui parlavo e, sì, lei ha la memoria di figlia di attivisti che si sono opposti alla dittatura militare, ma forse per non essere dei facili voltagabbana non serve avere un background tale.

Non vorrei essere fraintesa, che alle mie considerazioni si dia una chiave di lettura tale per cui cambiare opinione sia sbagliato. Nessun encomio alle menti chiuse. Punto il dito alla leggerezza della scelta, galleggiare sulla superficie del giudizio.

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Dal Sudamerica torno alla mia realtà.

Si guarda al mondo da una parete di vetro su cui è appesa un’insegna “Andrà tutto bene”. Queste lettere si fanno sempre più sfocate, meno nitide al procedere dei mesi. Però non si cancellano. Il tempo è la soluzione unanime. La sabbia della clessidra fluisce, che corra piuttosto e, se le tue cellule deperiscono celermente, non importa. Guarisce e logora, ironico. La cura non la vedo nei volti di chi si sposta dall’altra parte della strada quando passeggia, dai numeri dei contagi, dalle serrande chiuse, dai voli annullati…la leggo dalla tuttora libertà di dare sfogo alla voce. Urlare di insoddisfazione è comunque urlare.

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Voce. Voto. Informazione. Vorrei che si sentisse, anzi credesse a questi pilastri perché la democrazia non è scontata e se questo rosso mi acceca, ma vedo una fine, una dittatura mi toglie il respiro.

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