La sommossa dell’arte milanese


La sommossa dell’arte milanese

Prefigurazione della rivoluzione romana del Caravaggio

La mostra Dentro Caravaggio, di indubbia importanza e accuratezza scientifica, ri-calca un risaputo format culturale. Questo prevede la riduzione di esposizioni artisti-che in eventi mondani, che si svolgono al chiuso delle stanze di Palazzo Reale senza trovare sinergie con il ricco tessuto urbano milanese. Il rischio è quello di emarginare gli artisti dalla concretezza della storia e dei luoghi: un aspetto, quello della connessione tra mostra e città, che diventa determinate soprattutto se il protagonista indiscusso dell’esposizione è Caravaggio e il contesto riguarda Milano. La rassegna si basa su due percorsi: la ricerca documentaria e le indagini diagnostiche che hanno con-dotto a una rivisitazione cronologica dei dipinti e confermato l’importanza della formazione milanese di Caravaggio. La mostra ripercorre molte recenti scoperte: il certificato di battesimo, la conferma del-la città natale, la pratica del disegno nelle prime opere romane, ecc. Queste novità confermano la loro incidenza nell’arte del Caravaggio, grazie ai continui riferimenti a dipinti lombardi presenti nelle sue ope-re. Citazioni che testimoniano uno stretto legame artistico e affettivo di Caravaggio con il territorio lombardo. A Milano infat-ti l’artista trascorre 20 anni della sua vita, rispetto a un’esistenza breve, che vede la sua scomparsa a soli 39 anni. Roberto Longhi aveva già intuito l’incisività della formazione lombarda sul Merisi. Il critico sottolineava come la pregressa ed effettiva comprensione del forte nesso tra Caravag-gio e la pittura lombarda fosse indispensa-bile per capire, nella sua interezza, la rivo-luzionaria novità artistica sperimentata a Roma dal giovane artista. Il rischio che si corre in questa mostra-evento è quello di ridurre il Merisi a un genio-folle e di considerarlo come un fenomeno fuori dal tempo e dallo spazio. Invece, la ge-nialità di quest’artista sta proprio nella sua piena comprensione del contesto storico e artistico, a lui coevo. È infatti colui che ha espresso al meglio tutti i fattori e le contraddizioni che costituivano la so-cietà del suo periodo, in una modalità acuta e qualitativamente perfetta, ma che ha tro-vato nell’arte lombarda di fine Cinquecen-to il suo punto di partenza. Longhi stesso invitava a ripercorre quel dedalo di vie che circondano Palazzo Reale. “Strade di Lom-bardia” o meglio di Milano, che vanno da San Babila (in cui abitava la famiglia Meri-si) fino a S. Maria presso S. Celso (dove un dipinto anticipa la Conversione di Paolo del Caravaggio); passando da S. Stefano (luogo in cui è stato battezzato), dalla chiesa di S. Antonio Abate (struggente sintesi di antece-denti e seguaci del Caravaggio), dalla basili-ca di S. Nazaro oppure da S. Paolo Conver-so. Ricordiamo che il giovane Merisi deve essersi imbattuto anche nelle chiese di S. Angelo, S. Fedele, S. Raffaele, S. Marco e S. Maurizio, spingendosi fino alla Certosa di Garegnano. Facendo così raccoglieremmo «un piccolo “museo immaginario” simile a quello che fu negli occhi del Caravaggio ragazzo¹»; che non può concludersi senza prima aver visitato l’Ambrosiana e Brera, in cui sono conservate la Canestra e la Cena in Emmaus. Tra i documenti esposti, uno riguarda il trasferimento di Merisi a Roma e riporta una singolare osservazione: «Que-sto pittore […] al parlare tengo sia milane-se. Mettete lombardo, per che lui parla alla lombarda». Caravaggio è stato un genio incompreso, perché, nella Roma del Seicento, risultava incomprensibi-le proprio la sua lingua lombarda, non solo intesa come inflessione dialettale, ma soprattutto come linguaggio pittori-co. L’affascinante operazione di Longhi ha ridato nuovo rilievo a Caravaggio, proprio alla luce del suo rapporto con la tradizione pittorica lombarda. La sua connessione con le origini è confermata, in chiave sem-pre più rilevante: tra le chiese e nelle cappelle del centro possiamo ancora ritrovare tutti quei protagonisti che, proprio negli anni in cui Caravaggio studiava, cercava-no «di campeggiare una piccola sommossa di sapore naturalistico²» che il Merisi farà sua e tramuterà in una rivoluzione tra le strade e le piazze romane. Isolando Cara-vaggio in alcune stanze si rischia di non comprendere l’artista nella sua complessa totalità, accontentandosi di quell’etichetta di genio, senza comprendere le ragioni del suo innovativo linguaggio artistico. Relega-re Caravaggio comporta anche l’emargina-zione di decine di chiese ancora intatte; le quali conservano affreschi e pale che il Me-risi aveva studiato, così tanto, da citarle a memoria ad anni di distanza. Non si tratta di mero marketing ma di chiese e cappelle destinate all’oblio: queste non presentano code chilometriche, non vantano centinaia di migliaia di turisti e non richiedono un bi-glietto all’ingresso, ma senza di esse Michelangelo Merisi non sarebbe Il Caravaggio.

” La genialità di
quest’artista sta
proprio nella sua
piena comprensione
del contesto storico e
artistico, a lui coevo “

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