Georgia on my mind

Non solo tesi - un’amicizia a 7000 km da casa

I 6 mesi passati negli Stati Uniti per la tesi al Georgia Institute of Technology di Atlanta sono stati probabilmente i sei mesi più intensi della mia vita.

Non essendo mai stato negli USA, e avendo sempre vissuto a casa a Milano, l’impatto è stato notevole. Il campus – villaggio olimpico nel 1996 – aveva poco a che vedere con la grigia Bovisa, per non parlare delle partite di college football precedute da grigliate colossali, dei laboratori con attrezzature da milioni di dollari, dell’assurdo concetto di confraternita.

Nonostante l’emozione del vivere e studiare a 7000 km da casa, in una circostanza sotto tanti versi ideale, dopo i primi dieci giorni a bocca spalancata la novità ha iniziato ad esaurirsi, la tesi si è fatta dura e ancora una volta ho iniziato a sentire quella sensazione che penso noi tutti abbiamo provato più di una volta nella vita, quando dopo l’entusiasmo di un nuovo inizio la realtà sembra tradire le promesse e il bello lascia spazio alla fatica. Ma ecco che, per una serie di coincidenze di cui non sarò mai abbastanza grato (ad esempio l’ufficio che ci avevano assegnato non aveva finestre), io e il mio compagno di avventure ci siamo trovati a studiare al Catholic Center del campus, uno spazio dell’università dotato di aula studio nel seminterrato e di altri indispensabili generi di conforto quali cucina con ampio frigorifero, tavolo da ping pong, macchina italiana per l’espresso, e molto altro.

Se anche i primi giorni non si facevano grandi chiacchiere con gli altri studenti, la svolta è arrivata dopo che abbiamo preparato chili di carbonara per tutti, vincendo la gara di cucina prima del Thanksgiving. A quel punto la timidezza iniziale è scomparsa e la tesi, da due che eravamo, ha iniziato a diventare un lavoro di gruppo, non perchè qualcun’altro lavorasse al posto nostro, ma perchè ogni giorno qualcuno veniva a fare un salto nel seminterrato per salutarci e vedere come andasse; le giornate si sono fatte molto più movimentate, non mancava mai un imprevisto che “rovinasse” i nostri piani per la giornata o per la serata, che fosse un giro all’ennesimo fast-food, una serata “falò-marshmallows-Sweet Home Alabama” o una gita su qualche torrente dal nome indiano impronunciabile.

Vivere così i mesi di tesi è stata per me una grande provocazione ad alzare lo sguardo dal mio piano. Se al momento della ricerca della tesi speravo semplicemente in un’esperienza all’estero, sono poi stato sorpreso da una realtà decisamente più grande, che mi accadeva sotto gli occhi tutti i giorni con la forma di un’inaspettata compagnia. Vivendo là mi sono reso conto che in fondo, andando all’estero, era questo quello che desideravo, era questo che reggeva davanti alla fatica dello studio, della distanza da casa e dagli amici italiani. Quella novità che l’università più prestigiosa, la vita privilegiata del college americano o la tesi più interessante non riuscivano a dare fino in fondo, mi veniva inaspettatamente regalata da un qualche ventenne americano alla domanda “can you cook us some pasta tonight?”

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