MULTIVERSO, SOGNO O REALTÀ?

Riflessioni su un mondo che ancora non esiste

di P. Rabaioli

La prima volta che ho sentito parlare di realtà virtuale è stato quando il CEO dell’allora azienda Facebook fece un goffo tentativo di rebranding per scappare dagli innumerevoli scandali ed inchieste che stavano crocifiggendo il social media blu. Mark Zuckerberg, il 28 ottobre 2021, annunciava che che Facebook avrebbe cambiato nome in “Meta”, da Metaverso, per trasformarsi in una piattaforma di realtà aumentata, nella quale il giovane CEO avrebbe deciso di investire per i prossimi anni. Ma che cos’è il Metaverso?

Si tratta di un universo virtuale in cui si trovano gran parte delle attività quotidiane: riunioni, pranzi, allenamenti, film, concerti, giochi, tutto declinato in versione 3D e alla portata di tutti con un click. Una serie di strumenti fondamentali permettono di vivere a pieno questa esperienza immersiva (come l’Oculus Quest) e la creazione di un avatar, proiezione della propria persona, che interagisce all’interno della realtà aumentata. 

Un esempio efficace di cosa potrebbe diventare il metaverso è Fortnite, popolarissimo videogioco, che è diventato una sorta di mondo alternativo in cui è possibile fare molto di più che semplici missioni spara-tutto. In questa stessa realtà alternativa, il cantante Travis Scott ha tenuto il primo concerto-evento virtuale, attirando più di 12 milioni di persone all’interno del gioco. Tuttavia, le possibilità che questa nuova tecnologia mette a disposizione sono plurime. Pensiamo al caso di un cardiochirurgo che debba effettuare un intervento molto impegnativo su un paziente: la realtà virtuale (VR) o la realtà aumentata (AR) gli permetterebbero di fare più pratica, andando a ridurre le possibilità di errori durante l’intervento e lo aiuterebbero a rendersi conto delle effettive complicazioni in cui potrebbe incorrere. Inoltre, il metaverso può portare un grande valore al mondo della progettazione architettonica ed industriale, infatti, grazie all’utilizzo di AR e VR è possibile realizzare modelli 3D di oggetti, ambienti ed edifici e interagire con loro: è possibile trovarsi all’interno di un edificio ancora prima che questo venga realizzato, o di valutare lo stato di avanzamento dei lavori di un cantiere in tempo reale. Questo facilita la condivisione e la discussione tra colleghi ed in generale semplifica il processo di progettazione riducendo le possibilità di errore, incomprensione e, soprattutto, riducendo tempi e costi. Ultimo significativo esempio sono i digital twins, modelli virtuali progettati per riflettere accuratamente oggetti fisici. Grazie alla condivisione in tempo reale di questi ultimi, gli ingegneri possono simulare il comportamento di sistemi complessi riuscendo a prevedere e prevenire guasti meccanici, riducendo così inefficienze e costi.

Esiste però il rischio di idealizzare questo mondo artificiale: un luogo dove tutto è possibile, ogni cosa è personalizzabile e quindi migliore del mondo reale.

Stress e ansia sociale, inoltre, potrebbero favorire la proiezione di sé all’interno di queste altre realtà che assicurerebbero distanza e lontananza dalle situazioni temute. Sembrerebbe prematuro parlare di qualcosa che è ancora nella sua fase embrionale, eppure, è evidente che per far fronte a questa nuova prospettiva di meta-mondo, servano dibattiti, incontri e riflessioni da un punto di vista etico e morale. Servono momenti di confronto, ampi, onesti e franchi. Servono pensieri profondi e parole di senso che ci aiutino a non sbagliare, a non lasciarci governare dai tecno-entusiasmi ma nemmeno dai tecno-pessimismi, perchè tutto ciò andrà a ridefinire anche le priorità che come esseri umani dovremmo tenere in considerazione nel nostro percorso evolutivo. Una spinta così forte, data da questo mutamento tecnologico, non si può accogliere girando la testa dall’altra parte o dicendo “a me non interessa”, ma servono regole e restrizioni e soprattutto persone che abbiano il coraggio di chiedersi e chiedere a gran voce: che spazio ci sarà per l’uomo nel futuro digitale?




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