Quando uno ci perde la testa è difficile ritrovarla

Dove cercarla?

Non siamo fatti per perdere le cose che amiamo e forse sto scrivendo per non fuggire di fronte a questo e per capire se il fatto che le cose non vadano come le abbiamo in testa noi sia una condanna oppure una sfida.

Due esempi nella letteratura mi aiutano a vedere: l’Orlando furioso e Dante.

Orlando è un eroe valoroso ed è innamorato di Angelica, le vuol bene davvero e, siccome combatte per amore, è convinto che lei debba ricambiarlo: chi potrebbe amarla e difenderla meglio di lui? Spoiler: Angelica preferisce Medoro e Orlando esce di testa. Non impazzisce perché Angelica preferisce Medoro a lui, ma perché preferisce un soldatino qualsiasi come Medoro a un cavaliere come lui; non perchè non ottiene Angelica, ma perchè non realizza il suo disegno di ottenerla. Ancora più semplicemente: impazzisce perchè un amore non corrisposto manda all’aria le sue carte, contraddice il piano che si era costruito. In termini rinascimentali perchè la “fortuna” vince la sua “virtù”:

“O conte Orlando, o re di Circassia, vostra inclita virtù, dite, che giova?

Vostro alto onor dite in che prezzo sia, o che mercé vostro servir ritruova.

Mostratemi una sola cortesia che mai costei v’usasse, o vecchia o nuova,

per ricompensa e guidardone e merto di quanto avete già per lei sofferto”.

 

Anche a Dante è toccata una sorte non diversa da quella di Orlando: era innamorato di Beatrice, ma lei si sposa con un altro, presumibilmente meno saggio e meno innamorato di Dante. Lui, però, non impazzisce, anzi, arriva a chiamarla “lume tra ‘l vero e lo ‘intelletto”, come se lei, proprio lei, riuscisse a renderlo saggio. Come mai questa differenza? Non credo dipenda solo da una questione di autocontrollo dantesco. C’è di più: c’è che per Dante la realtà non coincide con i suoi disegni. Dante è innamorato di Beatrice ma sa di non essere nato per Beatrice: è nato per realizzare il suo fine di uomo. Sa che la sua felicità consiste in qualcosa “che non mi puote venire meno” e che in fondo ama, più ancora che la presenza fisica di Beatrice, quello che lei ha introdotto nella sua vita. Per questo, di fronte al mancato saluto di Beatrice finanche alla sua morte, Dante non si ferma, ma si chiede quale passo sia chiamato a compiere e chi possa aiutarlo ad attraversare la selva oscura.

Se togliamo il nome di Orlando o di Dante e ci mettiamo il nostro, e se al posto di Angelica o di Beatrice ci mettiamo quello a cui punta il nostro disegno, ci rendiamo conto che tutto questo parla di noi; perchè Angelica è la cosa che non va, magari quella più cara e che proprio non è come la si pretende e Orlando è il prototipo dell’uomo che non fa passi perché non prende consapevolezza dei segni con cui la realtà lo provoca; Dante, invece, da tutto è rimesso in discussione: non si infuria perché la realtà dovrebbe cambiare assecondando i suoi progetti, ma è pronto a cambiare lui assecondando il movimento della realtà, a convertirsi continuamente, sempre teso al cenno nascosto negli eventi, come “l’uomo che va cercando argento e fuori de la ‘ntenzione truova oro”.

Penso che ciascuno di noi possa scegliere se essere Orlando o Dante, a seconda che in quello che capita veda solo il gioco della fortuna o anche il disegno di Dio: “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie” Isaia 55,8. E questo non rende i passi da compiere meno faticosi, ma li rende fecondi: Dante si sarà chiesto cosa volesse Dio da lui, perché gli rompeva le uova nel paniere e gli impediva di fondare la vita sui suoi (giusti) disegni; Orlando questo non poteva chiederselo perchè aveva già deciso cosa doveva pensare Angelica, aveva smesso di ascoltare la realtà e così facendo era rimasto schiacciato dal suo rancore e dalla sua rabbia. Si può imparare a soffrire senza che questa sofferenza marcisca in noi? Forse il “segreto” è non lasciarsi soli: se si ha un punto a cui guardare e qualcuno che ci educa in questo allora niente è perduto, niente risulta inutile.

“L’importante nella vita è riconoscere il maestro! Perché non lo si sceglie il maestro: lo si riconosce! […] se tu hai riconosciuto un maestro è per i valori che erano nel suo accento! I valori che cosa sono? Tutto ciò che ti fa capire e ti allena a proporzionare al destino l’istante. […] E allora la vita cammina per una luce e una certezza e una affezione che non creo coi miei pensieri, che non creo con lo sforzo della mia volontà, ma che mi trovo addosso. Una certezza e una tenerezza, una certezza e una affezione che mi trovo addosso seguendo.” (Giussani)

 

Tutti noi vorremmo avere di più, riuscire di più, essere altro, fermare il tempo, strapparci di dosso la sofferenza; ci scandalizza la nostra miseria e forse dovremmo solo imparare a perdonarci, a guardarci con tenerezza e a chiedere. Bisogna chiedere per trovare.

Bisogna chiedere aiuto per essere aiutati. Pregare per trovare Dio.

Aiutiamoci dunque, aiutiamoci ad essere certi.



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