Perché studiamo?



Perché studiamo?

Vi autorizzo a domandarvi perchè

Chiara Vecchione, Angela Doglio e Lorenzo Ticozzi

L’8 marzo 2018 l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini ha incontrato i giovani studenti universitari del Politecnico e non solo: l’incontro, più che una lezione tenuta da Delpini, aveva lo scopo di far emergere le domande e le testimonianze degli studenti, che hanno partecipato in molti riempiendo due intere aule del Trifoglio.
L’incontro è stato ideato e proposto da persone diverse, studenti cristiani e non, di vari movimenti religiosi. Ci ha colpito come il dialogo si sia posto su un piano di confronto e umanità interessanti, aprendo nuove possibilità per tutti, a prescindere da convinzioni e fedi, come ci ha raccontato il Presidente del Consiglio degli Studenti Alessandro De Iasio: L’incontro dell’8 Marzo è stato per me una sorpresa. Molti i ragazzi presenti. La capacità comunicativa dell’Arcivescovo Delpini è risultata fondamentale per la riuscita dell’evento. Lo scopo di questo
era portare un saluto all’autorità ecclesiastica da parte dei ragazzi
del Politecnico, e lui ha ricambiato con la semplicità di un amico con cui potresti parlare ad un bar, davanti ad una birra. Forse è proprio questo che spesso manca alla Chiesa Cattolica
di oggi, la semplicità e la sincerità. E in una società civile, e in particolare in un mondo universitario, che si propone di essere laico, sono valori che non possono mancare per una convivenza serena delle mille realtà presenti oggi. Kaire, ragazzi!
Il Rettore Ferruccio Resta, introducendo l’Arcivescovo, ha raccontato di come affronta il suo ruolo in università, unendo cuore e ragione: le sue parole e i primi interventi dei ragazzi, hanno subito reso chiaro
che quel momento aveva un respiro più ampio, in grado di coinvolgere chiunque fosse interessato a vivere in maniera piena l’Università.
In un Ateneo come il nostro, in
cui è poco lo spazio che possiamo dedicare alla vita privata, è ancora più stringente la voglia di essere soddisfatti e contenti dello studio
e delle giornate che passiamo al Politecnico coi nostri compagni
di corso. È stato notevole vedere mille studenti che vogliono vivere l’Università non solo come delle macchine, come a volte si rischia
nei nostri studi tecnicistici, ma desiderando davvero che questi anni siano il tempo per una crescita sia professionale che umana. Da questo è emersa la necessità di chiedersi per cosa stiamo spendendo il nostro tempo, le nostre energie, il nostro studio e chi desideriamo diventare. Di fronte alla superficialità con cui spesso vengono trattate le esigenze dei giovani, ci siamo stupiti che un uomo del genere sia venuto apposta per ascoltarci, senza la pretesa di darci risposte ma raccontando di
se stesso e proponendoci piuttosto delle sfide: è possibile essere felici persino alle 8 del lunedì in università, con tutti i motivi che ci sarebbero per essere preoccupati ed affaticati? Ci ha testimoniato Delpini: “Noi siamo contenti perché amiamo la vita, amiamo la sfida, abbiamo un senso per cui vale la pena vivere. Una tecnica e una competenza non danno gioia, ma possono dare gioia se uno impegna questa competenza per costruire una cosa per cui si appassiona; ecco questo mi aspetto: che voi siate messaggeri della primavera che questa Europa un po’ invecchiata e un po’ triste aspetta. Quindi ho delle buone speranze”.
E ricordando il Rettore, all’inizio emozionato, ha aggiunto scherzando: “Se c’è addirittura un ingegnere che si emoziona, allora qui siamo a cavallo, c’è una speranza per l’umanità!”.
Ma è davvero possibile cominciare
la settimana alle 8 del lunedì con un motivo valido per essere contenti? Forse, come suggeriva l’Arcivescovo, l’importante è non limitarsi alla superficie grigia delle cose, ma iniziare a chiedersi il motivo di ciò che facciamo. Infatti non ci basta misurare o progettare qualcosa, se poi non ci chiediamo che significato abbia il nostro lavoro rispetto alla vita di ogni giorno.
“Ecco questo è il grande inganno del tempo moderno, che forse adesso stiamo superando con questo tempo post-moderno che viviamo. Però il tempo moderno, per quel poco che ho capito io, siccome è così entusiasta dei risultati della Scienza, rischia
di pensare che tutto ciò che esiste è quello che si può misurare, che si può calcolare, pensa che si possa fare un esperimento per vedere ogni cosa. Ma non è l’unica ragione. La storia ci dice che la realtà è più ricca, più bella, più varia e più provocatoria, contiene più speranza, contiene anche quelle domande che forse qui è proibito fare. […] Perché studiamo? Vi autorizzo a domandarvi perché.”

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