L’indipendentismo


L’indipendentismo

Alla ricerca di un’identità:dalla Catalogna alla Scozia per capire cosa muove un popolo

Da anni ormai si osserva attraverso tut-ta Europa una forte spinta secessionista in azione, di cui l’ultima e più rilevante espressione è stata il referendum in Cata-logna. Vedere la polizia in assetto anti-som-mossa sgomberare dei seggi in un paese che è così vicino e culturalmente simile al nostro ci ha profondamente turbati, tanto da portarci a chiederci da cosa possa nasce-re un così forte sentimento di indipenden-za nelle persone, così radicato da convince-re uomini e donne di tutte le età ad uscire di casa, consapevoli di rischiare di pren-dersi una manganellata. E dall’altra parte cosa può giustificare una repressione così violenta da parte di un governo centrale. Quello che ci interessa, senza andare ad indagare il particolare movente politico di ognuna delle fazioni implicate, è ap-profondire come e da dove nasca questo desiderio di cambiare lo stato delle cose.

Le radici della particolarità catalana

La Catalogna è sempre stata una regione particolare, in cui la lingua e la ricchezza della sua tradizione hanno giocato un ruo-lo fondamentale per definire l’identità dei suoi abitanti. Nella storia della Spagna si possono osservare diversi periodi in cui la suddetta regione ha goduto di una forte autonomia in materia legislativa ed econo-mica, come nel caso del periodo di governo degli Asburgo, quando i diversi regni che componevano il territorio peninsulare ave-vano il proprio modello di stato, e invece altri periodi di minore autonomia, come dopo l’arrivo della dinastia Borbone, la cui filosofia di governo era molto più centra-lista. In particolare la dittatura franchista dello scorso secolo ha impedito fortemente lo sviluppo e la diffusione della cultura ca-talana, dato che fra le altre cose era vietato l’utilizzo della lingua catalana al di fuori di ambiti privati. Nella Transizione Demo-cratica spagnola si è vista risorgere l’i-dentità catalana con tutta la sua poten-za: nella Costituzione Spagnola del 1978 si riconosce il catalano come lingua co-uf-ficiale della regione e si definisce lo Stato spagnolo come un insieme di Comunità Autonome che hanno ampie competenze educative, sanitarie e finanziarie.

La strada verso il referendum

Questa decentralizzazione del potere non solo ha permesso ai catalani di recuperare con vigore le loro tradizioni, ma ha anche incoraggiato lo sviluppo di ideologie na-zionaliste che hanno trovato modo di diffondersi nell’educazione e attraver-so i media. Grazie ad esse si è creata nella mentalità dei catalani una visione parziale della storia; una delle convinzioni più dif-fuse nella regione è che l’industria catalana si sia sviluppata esclusivamente grazie ai meriti della ‘mentalidad menestral’, ovve-ro grazie allo spirito d’impresa regionale. Questa visione però non tiene conto dei finanziamenti con cui lo stato centrale ha incoraggiato in diversi periodi storici lo sviluppo industriale della ‘Comunidad Au-tonoma’, al contrario di quanto sostengo-no gli indipendentisti catalani, che hanno addirittura adottato la frase ‘Espanya ens roba’ (la Spagna ci deruba) come slogan della propaganda nazionalista catalana. Un’ aggravante è stata poi la mancanza di politiche conciliatrici da parte del governo centrale che ha sempre negato categorica-mente ai catalani il diritto di iniziare un processo politico di indipendenza, non pre-visto dalla Costituzione né dal loro Statuto di Autonomia. Si è così sviluppato un de-siderio di indipendenza che ha sorpren-dentemente unito forze politiche di se-gno opposto all’interno del Parlamento catalano. Questa maggioranza trasversale ha dato vita al processo vero e proprio di distaccamento dalla Spagna, varando delle leggi a tale scopo che come estrema conse-guenza hanno portato alla proclamazione del referendum del 1 Ottobre.
Tali leggi sono state approvate nonostan-te fossero in conflitto con l’ordinamento costituzionale e statutario, e senza seguire un vero iter legislativo. A fronte di quanto succedeva in Catalogna i tribunali spagnoli hanno deciso di inviare le forze dell’ordi-ne per ripristinare la legalità e impedire lo svolgimento di una consultazione a tutti gli effetti illecita.

Il caso scozzese

La regione che ha fatto in questi anni il percorso più simile alla Catalogna è stata la Scozia. Infatti anche in questo caso la richiesta di indipendenza affonda le sue radici nella storia di due popoli con differenze culturali,anche se ormai appianate da secoli di appartenenza al Regno Unito. I movimenti indipendentisti scozzesi sono arrivati ad accrescere i loro consensi dall’i-nizio del millennio, fino a quando nel 2011, lo Scottish National Party, ha raggiunto la maggioranza nel parlamento Scozzese, ed il risultato elettorale ha permesso di inta-volare con Londra una trattativa sul pun-to chiave del loro programma elettorale: un grande referendum sull’indipendenza scozzese. Già in questo punto di partenza si vede la differenza di approccio da en-trambe le parti, che fin da subito invece che cercare di imporre le proprie ragio-ni con tutti i mezzi politici hanno inizia-to a dialogare. In particolare il primo mi-nistro del regno unito David Cameron ha avuto l’intelligenza di non sedare le spinte indipendentiste rifacendosi alla legge, ma ha fornito temporaneamente i poteri del governo centrale al parlamento scozzese, a patto che si facesse una seria campagna elettorale presentando tutte le implicazioni di una vittoria del sì. in particolare con la stesura di “Scotland’s Future” gli indipendentisti hanno chiarito ai cittadini tutto quello che sarebbe accaduto in una Scozia indipendente, ma che sarebbe comunque rimasta nel Commonwealth. Con questi presupposti il referendum è stata una gran-dissima vittoria per la democrazia, finalmente un popolo ha potuto votare consapevolmente, con affluenze superiori al 90%, un tema così caldo. Il risultato è stato che all’indomani del voto la vittoria del no non fu un errore drammatico, a cui rispondere con cortei di protesta, ma un esito accettato da tutta la popolazione.

La sfida dei prossimi anni

Davanti ai fatti che abbiamo raccontato sembra che si corra sempre il rischio che ognuna delle parti in causa faccia prevale-re una propria idea di quello che sarebbe giusto, piuttosto che favorire un confronto leale con la realtà che si ha davanti.
Nel caso spagnolo la soluzione desiderata dagli indipendentisti non tiene conto di un legame che dura da secoli, e che non potrà essere cancellato da una dichiarazione di indipendenza; d’altra parte la repressione centrale non considera il bisogno del popolo di riaffermare la propria identità né sembra preoccuparsi su cosa generi questa insoddisfazione.
Alla base di questa lotta, oltre a im-portanti fattori storico-politici, sono in gioco ragioni più profonde, che hanno origine nella percezione di un vuoto e una tristezza che, in maniera celata, pervadono l’Europa e emergono quando crollano i surrogati di felicità che vengo-no oggi proposti nel mondo occidentale. Ecco allora che movimenti che erano quasi dati per morti all’inizio del millennio, sono tornati in auge, arrivando ad ottenere con-sensi tali da poter far sentire la propria voce in qualsiasi paese, sfilacciando anco-ra di più un tessuto sociale già indebolito da anni di nichilismo. L’uomo infatti desidera cambiare per raggiungere un bene e una libertà che siano definitivi e completi, spesso identificando questo obiettivo con una particolare forma di governo o con lo stringersi attorno ad una precisa idea politica. Il cambiamento vero parte da una diversa coscienza di sé e dell’altro, non più nascondendosi dietro degli slogan, ma ac-corgendosi che, in ultima analisi, nel dialogo il desiderio di bene è condiviso da tutte le parti in gioco.

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