Il Signore degli Anelli

Una realtà così distante dalla nostra vita?

Leggendo il Signore degli Anelli mi sono chiesto se le vicende che investono i personaggi nel loro percorso siano le stesse di cui facciamo esperienza nella vita di tutti i giorni.
La risposta l’ho trovata pensando al viaggio di Frodo, che ha inizio con una scelta: decidere se partire verso il Monte Fato per distruggere l’Anello, oppure rinunciare ad una missione tanto pericolosa quanto cruciale per il destino della Terra di Mezzo. L’hobbit vive immerso nella tranquillità della Contea e non abbandona certo la sua vita pacifica semplicemente per vivere un’avventura o per un’improvvisa voglia di cambiamento, ma perché è consapevole di quello che sta accadendo nella Terra di Mezzo: Sauron, l’oscuro signore, è alla ricerca dell’Anello, lo strumento che gli permette di dominare ogni forma di vita. Frodo capisce di non poter rimanere indifferente e dunque decide di partire poiché le circostanze della vita impongono questo. Mi capita spesso di vivere lo stesso tipo di situazione, in cui una circostanza esterna, un’ingiustizia, un amico in difficoltà o un problema che mi riguarda in prima persona mi impone, a volte senza la mia completa volontà, di agire e non rimanere indifferente.
Un fattore che si è rivelato decisivo per la mia vita, esattamente come lo è per Frodo, è quello della compagnia; i personaggi che il giovane hobbit incontra nel suo cammino sono un dono gratuito e inaspettato, e scelgono di sostenerlo aiutandolo a decidere e a non tornare indietro.
In particolare mi è cara la presenza di Pipino e Merry, i due hobbit incontrati per caso in un campo di grano della Contea; all’inizio vengono considerati inadatti alla missione, ma l’insistenza di Gandalf nel farli partire con Frodo mi ha fatto capire quanto sia per me importante l’avere una compagnia fondata sull’amicizia, piuttosto che sulla saggezza o sulle abilità di chi incontro nel mio cammino. Pipino e Merry sono l’esempio di quelli che desidero come compagni di viaggio e di quello che io stesso vorrei essere per gli altri: non la persona giusta al momento giusto, in grado di fornire il migliore aiuto o consiglio possibile, ma una persona sincera e reale, che vive avendo a cuore i propri desideri senza ignorare quelli dei propri amici.
La conclusione del primo libro vede lo scioglimento del gruppo, perché la malvagità dell’Anello ne ha intaccato l’integrità (esso, infatti, rappresenta una tentazione per chiunque ne sia a portata di mano) e le parole di Aragorn a Frodo: “Sei tu il portatore designato, è il tuo destino” mettono in luce il limite della compagnia, ovvero che nessuno può sostituirsi al portatore dell’Anello e sottrarlo alla crucialità del compito affidatogli, perché, come accade nella nostra vita, una compagnia non toglie la responsabilità personale della decisione e della libertà.
Se da una parte la frase di Aragorn mi mette di fronte ad un mio errore abbastanza consueto, ovvero pensare che l’essere in una compagnia mi risparmi la fatica di mettersi in gioco, di affrontare le situazioni più difficili e di costruirmi il mio percorso, dall’altra sembra avere il sapore di un augurio, di andare incontro e non sottrarmi a quello che è il mio destino, con le sue soddisfazioni e difficoltà, a fidarmi del bello che mi aspetta nella vita.

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