Se la poesia può dirci ancora chi siamo



Se la poesia può dirci ancora chi siamo

La libertà

Eron, Revolução dos Cravos, spray paint on wall, Pombal, Portugal 2018

Suona la sveglia. Apro gli occhi e immobile ascolto il silenzio dell’appartamento vuoto. In casa si è rimasti solo in due. Non sono abituato a questi momenti di solitudine. Non sono abituato alle stanze vuote e alle sedie sempre immobili attorno al tavolo. Non sento più il frusciare delle giacche indossate, lo sbattere improvviso delle porte, il raschiare degli spazzolini, non più il salutarsi dall’altra parte del corridoio, più niente del brulichio di una casa di ragazzi che si risveglia.  

Non c’è più urgenza, né fretta.  

Dopo colazione guardo fuori dalla finestra. La città respira in assoluto silenzio, deserta. Il sole vi impone una luce bianca, muta. La lezione al computer non accenna ad iniziare e quindi apro quasi distrattamente un libro lasciato sul tavolo la sera prima.  

Questo era il mio stato d’animo quando mi sono imbattuto in “Essere rondine” di Mario Luzi. È così che, in un giorno qualunque di quarantena, una poesia è entrata nella mia vita a scuoterla inaspettatamente. 

Il poeta guarda uno stormo di rondini in cielo. Nota che il loro volare è spezzato e come tormentato da un continuo sussulto. Si accorge che quei piccoli animali volano a singhiozzi, nello strazio di una sorprendente danza, come di un getto d’acqua sgorgante dall’azzurro:  

traboccano / (…) l’una / dopo l’altra (…) / sbandando (…) / ed eccole si lanciano, / (…) alte nell’aria

Il loro volo è un guizzo di compressa fiamma, un istinto, una energia che si sprigiona impetuosa, veemente ma straziante e frenetica. Non si saprebbe dire se c’è pena / o c’è felicità (…) /  in quell’affannarsi (…) / in quel vorticare / della vita dentro i suoi recinti. 

Penso a me, all’appartamento che di giorno in giorno diventa recinto, e mi chiedo che senso abbia parlare di libertà in questo momento. Penso ai nostri pomeriggi chiusi in casa e alle sessioni di addominali in salotto. A quando urlo a squarciagola sotto la doccia e ai posacenere ogni giorno da svuotare. Penso a questi animali affannati nel loro vorticare e penso a me, a cosa è che più di tutto mi manca. Cosa è che chiamo gioia. Cosa è che chiamo libertà. 

Sono libere / quelle anime / ma libere di muoversi / a un ritmo segnato … 

Il loro volo non sembra certo illimitato. Non planano risolute e inesorabili come il falco che domina il cielo. Questa loro natura è una condanna, penso. Loro sono incapaci e, di conseguenza, il loro volo è disperato. Sono incomplete, quindi incompiute. Continuo a leggere, e mi accorgo che no, non è questo che Luzi vuole dirmi. Ed ecco che la poesia si illumina di assoluto imprevisto:  

è questo il loro essere rondini, / in quella irrequietudine è la loro pace. 

Forse capisco. La loro gioia, la loro pace è nell’essere pienamente se stesse, nell’essere pienamente rondine. La libertà di quegli esseri è nel fare parte di quella natura che le compenetra.  

Dio mio, quanto è vero. Quante volte sono io il primo autore di questa violenza a me stesso. Quante volte mi vorrei diverso, migliore, più adatto. Più dominante, più sicuro, più certo. Quante volte in questi giorni ho desiderato più libertà, più spazio.  

E poi? Cosa ne farò finalmente di quella presunta, del tutto immaginaria, libertà? Quando arriverà, come spenderò il mio primo pomeriggio “libero? Quando potrò sfogare tutta la compressione, tutto quanto vi è di trattenuto in me; quando tutto ciò che voglio mi sarà ridato, quale urgenza vincerà sulle altre? 

Tutto quello che ora pretendo e rimpiango a cosa mi gioverà se non avrò saputo amare anche questa mia irrequietudine dentro questa costrizione? A cosa mi serviranno domani tutto lo spazio e tutti gli amici del mondo se ora non avrò saputo amare ciò che sono davvero?

Per approfondire:

Poesia completa:

Poesia completa:

Sgorgano
l’una dall’altra
esse, traboccano
fuori dal loro primo caldo gruppo, l’una
dopo l’altra, disfano
le loro rapide pattuglie
sbandando
sotto la loro impavida veemenza

ed eccole si lanciano,
nero zampillo ricadente,
su, alte nell’ aria, ma poco –

è solo

un primo assaggio
quello, un primo guizzo
di compressa fiamma

poi allungano
ciascuna più in alto – ciascuna
più, vorrebbe – il loro getto
ma non oltre il perimetro
del loro aereo campo,
non oltre il dominio della loro forza

e toccato quel limite rientrano
planando ad alta quota,
impetuosamente si rituffano
nella conca di quella

inesauribile fontana.

C’è pena o c’è felicità in quel fervere

o in quell’ affannarsi?

che c’è in quel vorticare della vita dentro i suoi recinti?

Sono libere

quelle anime

ma libere di muoversi

a un ritmo segnato…

che dice la molle ricaduta

che cosa la razzante ascesa

e la frenetica frecciata –

si occulta spesso,
talora si lascia leggere
un pensiero
scritto in ogni parte
in ogni parte operante.
Lo esprimono

forse esse, lo gridano con strazio ed ebrietà,
ne infuriano –
è questo il loro essere rondini,
in quella irrequietudine è la loro pace.

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