Lo sguardo di Lautrec


Lo sguardo di Lautrec

Quando il protagonista sta in secondo piano

Polipo ANNO XI – Numero 2

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Di primo impatto, ci si ritrova circondati da foto. Vi si scorge dentro un uomo, piccolo, affetto da una malattia genetica che lo costrinse nano tutta una vita. È questo il primo punto di prospettiva che bisogna tenere a mente. Un uomo, nobile e ricco, ambizioso, costretto a vedere il mondo dal basso, con dentro di sé un bruciante, insopportabile desiderio di essere amato. Stavo davanti a quelle foto fissando quello sguardo insolente, quasi beffardo, a cui piacevano donne rosse o bionde, teste dai colori forti come quegli occhietti scuri. Un uomo che tutta la vita si considerò da sé un fenomeno da baraccone, che amava raffigurarsi come una pallina con una testa baffuta, e niente più di questo. O forse fu proprio questo il suo punto di forza, un mondo dal basso, che nessuno aveva mai considerato degno di una tela, e che invece si rivelò l’innovazione grafica della Parigi di quel tempo. Andando avanti, un autoritratto spoglio nell’angolo della stanza, quasi dipinto di fretta, e poi, più in là, oltre, nelle altre stanze, un mare di litografie, di disegni e olii su tela spogli, linee semplici, essenziali, così armoniche, vere, da lasciare senza fiato. Amava cogliere l’essenza, e non ogni linea. Non gli importava di essere preciso o canonico, no, gli importava di essere vero, di mostrare l’altro per come era, e non per come appariva. Queste schiene di donna che mi ritrovavo davanti erano ogni volta eleganti, altere, perfette; i volti delle attrici che ritraeva non erano solo volti, ma il loro stesso carattere, la loro stessa anima. A tal punto che ci fu anche chi scandalizzata gli disse che in quel ritratto non si trovava affatto bella.
Raccoglieva l’essere altrui in una manciata di curve, in massimo due o tre colori, oltre al bianco e al nero, che appartenessero così tanto all’altro da lasciarlo impresso nella tela nella sua totalità interiore. Lo stesso sguardo lo aveva nei manifesti pubblicitari a lui commissionati. Ritrovatami nella stanza dedicata ad essi, mi colpì subito quello per una ballerina.
La scena era dominata da questa figura bionda danzante sul palco, quasi stilizzata, ma imponente, piena, eppure mi accorsi che in basso a sinistra si scorgeva chiaramente uno spartito schizzato lì in due righe e a destra il manico di un contrabbasso. Insomma, in tre linee il passante era improvvisamente diventato protagonista del manifesto, e spiava in secondo piano quella ballerina fluttuante, leggiadra.
Lautrec innalzava i passanti non a spettatori, ma a protagonisti delle sue opere, a volte anche in modo molto spinto. Ogni sua opera si può dire timida e allo stesso tempo irriverente, come il suo artefice. Un punto di vista decisamente interessante che, in tutta onestà, consiglio vivamente di andare a sbirciare, perché di scoprire come Lautrec fu uomo del suo tempo, dalla sua genialità per la grafica pubblicitaria, ai suoi ritratti a tutto tondo, ai suoi ritratti rubati alle donne tanto desiderate, vi dirò, ne vale davvero la pena.

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